Ailanto
Giannini
Nome comune |
Ailanto – Albero del paradiso |
Nome latino |
Ailanthus altissima |
Famiglia |
Simaroubaceae |
Specie target interventi di eradicazione |
Distribuzione
Specie originaria della Cina, ma ormai presente in quasi tutto il mondo. L'ailanto fu introdotto per la prima volta in Inghilterra e Francia nel 1750 ad opera di missionari che lo avevano confuso con l'albero della vernice (Rhus verniciflua). Poco tempo più tardi fu introdotto negli Stati Uniti a scopo ornamentale dagli Inglesi, e anche dai cinesi che lo sfruttavano per le sue proprietà medicinali. Nello stesso periodo fu introdotto anche in Italia inizialmente coltivato presso l'Orto Botanico di Padova con l'intenzione di diffondere l'allevamento della sfingide dell'ailanto (Samia cynthia) per sostituire il baco da seta, successivamente fu ampiamente diffuso a scopo ornamentale. Le prime segnalazioni allo stato spontaneo risalgono alla metà del XIX secolo. Si tratta di una delle più comuni specie legnose invasive in Italia, tipica degli ambienti urbani e ruderali, ma può inserirsi anche in boschi aperti e ambienti ripari. Nell'Arcipelago Toscano è diffusa in quasi tutte le isole con nuclei di diversa densità.
Descrizione
E' una specie pioniera a rapido accrescimento; può raggiungere i 15-24 metri, con un tasso di crescita molto elevato. Le foglie caduche sono lunghe 30-100 cm e composte da 7-12 paia di foglioline oblunghe lanceolate. E' una pianta non troppo longeva (30-50 anni), ma la maggior parte delle radici penetra a circa 50 cm di profondità favorendo la capacità di sviluppo di radici avventizie. La specie è dioica (fiori maschili e femminili si trovano su alberi distinti) con la produzione in tarda primavera di una inflorescenza molto evidente. Soprattutto quella maschile emette un odore piuttosto sgradevole ma che favorisce la visita di insetti. Il frutto, la samara, contiene un solo seme, ma una singola pianta può produrre un enorme numero di semi. L'ingestione delle foglie può provocare intossicazioni e occasionalmente il loro contatto può causare dermatiti; nonostante ciò a Montecristo l'Ailanto è normalmente brucato dalle capre.
Ecologia
Tollera diverse condizioni climatiche anche siccitose, è capace di svilupparsi in siti con suolo molto scarso e povero di nutrienti, cresce in contesti anche inquinati. Veniva infatti utilizzato quale essenza per siepi ai bordi della viabilità. La germinazione può avvenire nelle fessure della roccia; si riproduce anche per via vegetativa attraverso polloni o addirittura attraverso la produzione di radici avventizie a partire da frammenti staccatisi dalla pianta madre.
Problematiche connesse con la sua presenza
L'Ailanto si diffonde facilmente grazie all'enorme numero di semi, al rapido accrescimento e alla sua vigorosa riproduzione vegetativa tramite polloni radicali. Tali caratteristiche unitamente alla produzione di una sostanza chimica allelopatica (allantone), presente in varie parti della pianta e nel suolo, quale essudato dalle radici, inibisce direttamente la crescita di altre specie formando popolamenti monospecifici molto densi. Per questi motivi l'ailanto risulta una grave minaccia per gli ecosistemi naturali modificandone la struttura, la composizione e il dinamismo.
Misure di contenimento
I metodi utilizzati per il controllo della pianta vanno da quelli manuali di taglio alla estirpazione delle giovani piante, abbruciamento, impiego di sostanze chimiche e patogeni. In Toscana ne è vietato l'uso per il rinverdimento e il consolidamento.
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